PERICOLI DELLA SCIENZA?1 1. Il mondo moderno è materialista? Tutto dipende dal senso che si dà al termine. Certo non lo è, rispetto all’antico, se a «materialista » si dà il significato più abituale e comune. La scienza moderna (per «moderna» si intende quella nata dalla rivoluzione galileiana, cioè successivamente al ’600-’700) ha indubbiamente liberato l’uomo dai «legami della materia» in modo notevole. Cocteau diceva per esempio che la «fotografia ha liberato la pittura ». In che senso? Nel senso che, ormai, dato che per riprodurre fedelmente la realtà ci sono i mezzi fotografici, la pittura è libera di spaziare in zone astratte. Ecco però: astratto è sinonimo di spirituale? Ancora tutto dipende, come vedremo, dalle definizioni. Per citare, questa volta, uno scienziato, il matematico e storico della matematica Gino Loria parlando delle opere immortali di Archimede e ammirando la inventività e creatività del suo genio, si domandava: «se, come la scrittura indebolì nell’uomo la memoria, l’invenzione e l’uso continuo di metodi generali, vanto della scienza moderna, non abbia per caso tolto vigore alle facoltà inventive che la natura ci ha largite?».2 Certo, se, per «materialisti», si intende «muniti di un senso molto forte della plasticità dello spazio», i Greci antichi erano più –––––––– 1 Testo dattiloscritto di una conferenza [n.d.e.]. 2 Gino Loria [1862-1954], Storia delle matematiche (Edizioni Sten, Torino, 1929), p. 128. SAGGI SULLA FEDE BAHÁ’Í 194 materialisti di noi. Si pensi ad Archita di Taranto, l’ultimo dei Pitagorici (sec. V a..C.) che per risolvere il famoso problema di Delo (duplicazione del cubo) ricercò, senza i moderni mezzi analitici, un punto comune a un cilindro in rivoluzione, un cono circolare retto e un toro. Archimede che, sempre con metodi sintetici e intuitivi, risolve il problema di trovare il volume del solido prodotto dalla intersezione di due cilindri con assi perpendicolari scoprendo che la sezione della figura è quadrata, e così via. Questo senso plastico, «materiale», delle forme (che permetteva agli Antichi di visualizzare complesse figure stereometriche, ma avrebbe certo loro impedito di immaginare uno spazio astratto a infinite dimensioni come lo spazio di Hilbert!)3 durò ancora fino a Newton, il quale, nelle sue opere, anche se inventore dello stesso calcolo infinitesimale, sa ancora risolvere genialmente in modo sintetico complicati problemi di geometria. Esempi paralleli si potrebbero fare nell’aritmetica: anche qui sembreremmo noi moderni gli astratti e gli «antimaterialisti». Gli antichi pitagorici avevano del numero, meglio se intero, una concezione «plastica»: i numeri figurati, i quadrati magici, i numeri- simbolo di realtà fisiche (vedi il Timeo di Platone...). In epoca recente, come in geometria spicca la singolare figura di uno Steiner (m. 1863)4 che, come dice il Loria,5 fece rinascere nel secolo scorso la geometria pura, «alla Greca» fra lo stupore dei matematici («il secolo scorso assistette attonito alla rinascita della geometria pura per opera di Steiner»), così in aritmetica si staglia come eccezione la figura di un Kronecker6 che, come si sa, amava dire che «il buon Dio ha creato i numeri interi, tutto il re- –––––––– 3 David Hilbert (1862-1943), eminente matematico tedesco, costruì le basi della moderna analisi funzionale. [n.d.e.] 4 Jacob Steiner (1796-1863), grande matematico svizzero, che fu introdotto agli studi dal pedagogista Johann Heinrich Pestalozzi. [n.d.e.] 5 Loria, Storia delle matematiche, p. 125. 6 Leopold Kronecker (1823-1891) matematico e logico tedesco. [n.d.e.] INSEGNAMENTI BAHÁ’Í 195 sto è opera dell’uomo» e cercò di fondare, appunto, in modo piuttosto elaborato e complicato, una matematica sui soli numeri interi negando valore agli irrazionali, ai complessi, ecc. Pensiamo infatti alla astrattezza di un concetto come ??1: non è questo un concetto ancor più «spirituale» di quello di un intero alla greca? E non sono più «spirituali» delle idee degli antichi, che avevano i piedi ben materialisticamente per terra, idee come quelle degli «ideali» di Dedekind,7 o dei «transfiniti» di Cantor?8 Per non parlare poi della fisica, dove anche i meno dotti sanno vagamente che ormai si identifica «onda» e «corpuscolo», si afferma che la massa non è che energia (E=mc2 è formula nota, anche senza che la si capisca bene, lippis et tonsoribus...), si dice che per chi entrasse in un «buco nero» il tempo scorrerebbe all’indietro e così via. Dov’è dunque il «materialismo» del mondo moderno? Certo la più materialistica delle arti, la scultura, è la più estranea al mondo moderno, e la più immaterialistica, la musica è quella che sembra avere più fans (sia pure in forme che potranno parere singolari a un conservatore!) Il tatto concreto e stereometrico degli Antichi è sostituito da un tatto astratto, acustico, mentale, e la musica moderna infatti è molto più complessa della antica e orientale... C’è dunque una singolare differenza fra il materialismo antico e l’intellettualismo moderno. Un’altra considerazione. Immaginiamo di avere letto le magistrali opere di Archimede, il precursore, con le sue geniali applicazioni del «metodo di esaustione», del calcolo infinitesimale. Terminatele di leggere, abbordiamo la famosa «Geometria degli Indivisibili» di Bonaventura Cavalieri9 –––––––– 7 Julius Wilhelm Richard Dedekind (1831-1916) matematico tedesco. [n.d.e.] 8 [George] Cantor (1845-1918) insigne matematico, dimostrò che gli infiniti non sono tutti uguali. [n.d.e.] 9 Bonaventura Cavalieri (1598-1647) matematico milanese, amico e ammiratore di Galieleo, che insegnò all’Università di Bologna. [n.d.e.] SAGGI SULLA FEDE BAHÁ’Í 196 dove tali metodi sono arditamente portati avanti, avvicinandoci ancor di più al calcolo infinitesimale. Orbene, se nessuno ci dicesse in che periodo siano vissuti Archimede e Cavalieri, e ci desse le loro opere tradotte ambedue in una lingua chiaramente a noi accessibile, e poi ci domandassero: «Quanti anni intercorrono fra questi due autori?», la nostra risposta potrebbe essere: «Più o meno 10 o 20 anni...». Ebbene, fra Archimede e Cavalieri intercorrono poco meno di 1900 anni! Si pone cioè questa domanda: come mai per cominciare a sviluppare le idee di Archimede ci vollero 1900 anni? La risposta non può essere che una: perché non si vollero sviluppare! La intelligenza non mancava (si pensi solo che, nel periodo cosiddetto di «decadenza», nel V secolo d.C., visse un geometra del calibro di Pappo Alessandrino...), l’interesse nemmeno (la smania di cercare sempre nuove curve, di calcolare aree di superfici difficili o volumi di solidi complicati non cessò mai: vedi le «Spiriche» di Perseo per esempio!).10 Si tratta pertanto di un conscio rifiuto di direzione. Evidentemente gli Antichi sentivano come vagamente «pericolosa» la direzione che fu poi presa da Cavalieri, da Newton e da tutto il mondo moderno e che portò ad intellettualistiche elucubrazioni come l’abolizione della (o meglio la generalizzazione della) geometria euclidea con l’idea di spazio curvo, di spazio vettoriale a infinite dimensioni ecc. che possono sembrare estremamente «spirituali» in senso di non realistici ma che pure sono i più adeguati mezzi espressivi di una tecnologia che ha raffinato e ingigantito al massimo il dominio «materiale» dell’uomo sulla natura. Simili ragionamenti valgono per l’astronomia, e simile è anche il paradosso: l’astronomia antropocentrica portava al teocentrismo –––––––– 10 Una famiglia di curve note fin dall’antichità col nome di spiriche (Perseo, 150 a.C. circa) perché ottenibili come sezioni di un toro (eseguite ad esempio con piani paralleli all'asse): figura solida che i Greci chiamavano «spira» [n.d.e.]. INSEGNAMENTI BAHÁ’Í 197 religioso, l’astronomia eterocentrica portò alla irreligione. Ma l’idea che la terra potesse girare su se stessa e compiere rivoluzioni attorno al sole è antichissima: anzi (come ho cercato di dimostrare altrove) l’idea di rivoluzione terrestre attorno a un centro del cosmo (anche se all’inizio tale centro non era il Sole) è ancor più antica dell’altra rotazione diurna. Ma la cultura antica la rifiutò coscientemente: evidentemente ne fiutava il pericolo. Ma un pericolo per che cosa? Dopo aver parlato di scienza vediamo che cosa si intende per religione e vediamo per quale atteggiamento religioso sussisteva il pericolo di cui parliamo. 2. Ho più volte ripetuto, e anche scritto, che tipologicamente le religioni del mondo si dividono in due grandi classi: quelle «naturali», arcaiche (il termine è più qualitativo che cronologico, esistendo anche adesso delle religioni arcaiche, come l’Induismo), e quelle rivelate o monoteistiche. (L’ateo potrà anche criticare il termine di rivelate, comunque si tratta, anche per lui, di religioni che si credono rivelate, il che, fenomenologicamente, è la stessa cosa). Le più tipiche delle religioni arcaiche attualmente conservate sono l’Induismo e la religione Shintó del Giappone: l’Induismo si può dire riproduca nel modo più chiaro; attualmente, quella che doveva essere stata, mutatis mutandis, la religione greca antica (che ovviamente aveva aspetti meno «barbari», se vogliamo, non aveva dèi o dèe con teste animali o con dieci mani ecc., ma la tendenza generale era la stessa). Il tipo più chiaro di religione monoteistica-rivelata è dato dalla religione dei profeti biblici (vedi Isaia per esempio) in perpetua lotta col sempre risorgente «naturalismo» degli dèi gentili, o, meglio ancora, dall’Islam. Il Cristianesimo assume, in questo quadro, un aspetto per così dire intermedio (parlo del Cristianesimo come si è venuto configurando teologicamente nei secoli, che non è identico al Cristianesimo di Gesù): sembra infatti di vedervi risorgere, innestata su SAGGI SULLA FEDE BAHÁ’Í 198 un robusto ceppo rivelato monoteistico, in quella religio naturalis che è il paganesimo, sempre risorgente senza una sorveglianza radicale ed assidua (gli ebrei la chiamavano, questa sorveglianza, «la siepe della legge»). Così concetti naturalistico-pagani come quello del Dio che muore e risorge, della Dea-madre, e tanti altri, vi hanno trovato diritto di ampia cittadinanza. Nel senso della tipologia qui rapidamente schizzata, la facile accusa dei Cristiani fondamentalisti a Musulmani, Ebrei e Bahá’í di essere una rispettabile sì, ma poco nuova religio naturalis, mentre nel Cristianesimo si sarebbe definitivamente rivelato il mistero divino, si può facilmente ritorcere contro di essi. Sono proprio quel presunti misteri divini del Cristianesimo teologico che sono la religio, anzi il paganismus, naturalis, ed è invece nel più rigido monoteismo protetto dalla legge rivelata che sta il carattere divino dei monoteismi puri. Anche questi, ovviamente, sono in costante pericolo di ripaganizzazione: qui anzi il pericolo sta proprio in quella che è la loro originalità rivelata, il concetto cioè di legge. C’è, in altre parole, il pericolo di incartapecorimento della Legge, la quale è per definizione una regola applicata a determinati periodi e popoli; è impensabile pertanto l’idea di una legge eterna, salvo che nei principi base (per es. la legge espressa dai Dieci Comandamenti per intenderci). Le leggi particolari cambiano fatalmente: l’idea di dispensazioni successive è inscindibile, pertanto, da quella di religione monoteistico-rivelata. A parte la Fede Bahá’í, l’Islam è quello che meglio rappresenta tale idea, irrigidendola però e incartapecorendola col dogma della definitività, fino alla fine dei secoli, delle particolari disposizioni date da Dio al presunto «ultimo » (una volta per tutte) dei profeti-rivelatori, Mu??ammad. La unica soluzione possibile sta nel considerare quelle parti della scrittura che si riferiscono alla fine del mondo come simboli di un rinnovamento non del mondo come universo (quale mondo, del resto, quello anteriore alla scoperta dell’America, o INSEGNAMENTI BAHÁ’Í 199 la terra centro dell’universo?) bensì dell’aión, dell’aevum, dell’Era, come riferentesi, cioè, alla fine di un grande ciclo storico. I cicli continueranno all’infinito con esigenze di legge sempre più ampie. L’errore centrale della teologia fondamentalista cristiana è stato commesso in epoca già molto antica, da Paolo, col suo assurdo rifiuto della Legge come valore religioso. È proprio invece la Legge che protegge la religione monoteista dal ricadere nel paganesimo naturalistico sempre in agguato (si vedano le costanti ricadute degli ebrei nel culto di Baal, ecc. di cui è pieno l’Antico Testamento). L’ampliamento della Legge è avvenuto in questo stadio. 1° Antiche leggi locali date a profeti antichissimi di cui la tradizione ci tramanda poco più che i nomi (leggi della persona, Adamo; della tribù, Noè; del gruppo di tribù, Abramo, e così via). 2° La legge data a un popolo (Mosè), il popolo eletto, modello primo di comunità nazionale primitiva. 3° La legge di Mu??ammad in cui ai legami puramente razziali del popolo eletto si sostituisce la appartenenza a una comune nazione sovrarazziale, la ummah o comunità di fratelli, con spezzamento di ogni legame di legge locale e tribale. Tuttavia questo abbozzo di comunità sovrannazionale non poteva essere veramente universale. Troppe parti della terra erano ancora separate le une dalle altre, senza traccia di conoscenze scambievoli, e avevano esse stesse le loro leggi profetiche (l’America pre-colombiana, per es., l’India di Buddha) o almeno grandi personalità di filosofi e di pastori. Quindi anche l’Islam ha una «fine dei tempi», in cui i «cieli saranno arrotolati» e verrà una rivelazione universale. È a questo (4° stadio) che si riferiscono i Bahá’í che sostengono che tale rivelazione universale è avvenuta nella seconda metà del secolo scorso, logicamente nell’ambito dell’Islam, la più recente delle rivelazioni precedenti della legge, con Bahá’u’lláh. La rivelazione di Bahá’u’lláh consiste dunque, non, lo ripetiamo, in una rivelazione di misteri divini, bensì nella rivelaSAGGI SULLA FEDE BAHÁ’Í 200 zione di una nuova Legge, unificatrice questa volta non di settori del genere umano, bensì di tutto il genere umano, in una sola grande nazione. Ciò non toglie, ovviamente, che nel prossimo millennio non possa venire una nuova legge che ampli ancor di più i confini del dominio organico di Dio: ce ne sono già le avvisaglie, nel presente sviluppo dei voli spaziali, che accennano sia pur lontanissimamente a futuri problemi «pratici» (non teologici, si badi!) dell’umanità. E il Cristianesimo? mi si dirà, quale posizione ha, con il suo paolino «rifiuto della legge», in questa evoluzione? Rispondo che il Cristianesimo ha potuto accettare il dogma paolino del rifiuto della legge perché la sua legge centrale, il suo scopo precipuo (e in questo ammetto che è un unicum fra le religioni monoteistiche) era quello di creare la massima potenza e santificazione individuale in vista delle nuove organizzazioni concrete della umanità agli ordini di Dio. Cristo non fece che variare di ben poco la legge mosaica: abolizione del divorzio, degli eccessi del sabato e simili. «Non sono venuto – diceva – ad abolire la Legge dei Profeti», e «Nemmeno uno iota di questa Legge passerà». Ma egli variò, e di molto, l’atteggiamento personale dell’uomo verso Dio e verso la religione, in attesa della nuova Legge. Il periodo storico del Cristianesimo è infatti estremamente breve, tipico di un periodo di preparazione, è solo di qualche secolo (Maometto comparve nel VII secolo A.D.). Riassumendo alcuni dei punti più paradossali (per un mondo cristiano moderno) della concezione bahá’í: a) La religio naturalis è proprio quella teologia cristiana – iniziata con Paolo – che i cristiani pretendono essere la rivelazione del mistero divino. b) I Profeti/manifestazioni di Dio non rivelano misteri ma essenzialmente leggi: è la religione di legge la unica possibile rivelazione, perché, come ben disse Einstein, la scienza ci potrà scoprire gradualmente i più riposti misteri dell’universo, ma non ha in se stessa il potere di dirci che cosa dobbiamo fare, anzi non ha nemmeno il potere di giustificare il suo stesso bisogno di ricerca, INSEGNAMENTI BAHÁ’Í 201 in ultima analisi, bisogno che non è scienza ma impulso eticoreligioso. c) La Legge, per sua natura, non può essere eterna: pertanto non può esistere una verità religiosa assoluta data una volta per tutte (come nell’altro campo, quello scientifico, non esiste una verità scientifica assoluta data una volta per tutte; la scienza anch’essa è un successivo ampliamento di orizzonti conoscitivi). d) È ovvio quindi, per chi ammetta Dio, che egli non può aver lasciato senza legge l’umanità attuale: quindi un profeta- manifestazione di Dio deve esserci anche per la nostra èra. Il ricercatore religioso non può che approdare, in questa ricerca, a Bahá’u’lláh. 3. Poste così le cose, possiamo riprendere la domanda che facevamo poc’anzi. La cultura antica fiutava il pericolo di una scienza di tipo «moderno». Pericolo per che cosa? La risposta è ora ovvia. Per il proprio establishment religioso-filosoficoculturale, che era quello della religiosità arcaica pre-monoteistica, la religio naturalis. Qui cade acconcia un’altra digressione; si dice sempre dei Bahá’í che essi sono per l’unità delle religioni. Attenzione, però: ci può essere una unità delle religioni naturali, arcaiche, e ci può essere un altro tipo di unità. La religio naturalis, nelle sue tendenze di base, è effettivamente unica ovunque: la religione/filosofia (le due cose vanno abbastanza d’accordo nelle religioni arcaiche: la filosofia è impostazione arcaica che ora è superata dalla scienza) greca, quella degli Incas, degli Aztechi, quella indiana antica, quella giapponese antica, il taoismo cinese e così via (persino le religioni di popoli cosiddetti «primitivi», per esempio, la complessa e interessantissima religione/filosofia arcaica dei Dogon dell’Africa occidentale studiata così appassionatamente dal Griaule) 11 sono in sostanza molto simili, ed è facile –––––––– 11 Marcel Griaule (1898-1956) etnologo francese, primo ordinario della cattedra di etnologia della Sorbona. [n.d.e.] SAGGI SULLA FEDE BAHÁ’Í 202 giungere a una unità su questa via. Si tratta di una unità sincretica metafisica. Ben diversa è l’unità monoteistica e ben più difficile da realizzare. Si tratta infatti di una unità storicistica, che implica maggiori sacrifici da parte dei vari religiosi che l’accettano. Faccio un esempio pratico. Immaginiamo un cristiano, un musulmano e un buddhista che siano tali nel modo più teologico e meno profetico possibile. Essi troveranno motivi di unità, per esempio, nel culto della Vergine cristiana, nel culto di Fá??ima islamica, nel culto della dea-manifestazione femminile Kannon (Kwan yin in Cina); oppure scorgeranno una unità nel viaggio celeste delle anime tipizzato nella splendida Commedia dantesca del Cristianesimo, nella Ascensione Celeste (mi‘ráj) del Profeta Mu??ammad cantato da tanti poeti musulmani con belle simbologie, e in simili leggende simboliche buddhiste. Oppure un Cristiano troverà mirabili simiglianze fra la sua comunione, certi culti di comunità mistico-esoteriche islamiche (per es. i Biktáshí) e certi simili culti indiani e così via. Sarebbe quindi possibile un certo ecumenismo in questo senso: basta essere buoni cristiani, buoni buddhisti, buoni musulmani ecc., scorgere le somiglianze che ci sono in tutte le nostre religioni (io le chiamerei però in questo caso superstizioni...) e la pace verrà da sé. E intanto ciascuno continuerà a seguire i propri culti nelle chiese illuminate e incensate, nelle moschee, nelle pagode, imparando sin da bambino gli stessi dogmi tradizionali nei quali il filosofo delle religioni o lo pseudoscienziato troveranno misteriose unità. E il mondo andrà avanti esattamente come prima. I Bahá’í pretendono invece una ben altra unità. Una unità di convergenza storica, che passa attraverso un triplice ordine di sacrifici ugualmente sopportati alla pari dagli aderenti a tutte le possibili religioni tradizionali. 1° Sacrificio: studiando la propria religione seriamente, e, vorrei dire, scientificamente (esiste infatti, oltre alle scienze matematico-sperimentali, anche una scienza storica, non dimentichiamolo...), il Cristiano (parlo ora di criINSEGNAMENTI BAHÁ’Í 203 stiani, ma sacrifici paralleli saranno fatti anche da aderenti ad altre religioni tradizionali) scoprirà che, per esempio l’impalcatura dogmatica «peccato originale, trinità, divinità di Cristo, morte redentiva e resurrezione» non erano nell’autentica dottrina di Cristo. E scoprirà anche che non v’è traccia nei Vangeli (salvo il simbolo del Battesimo e dell’Eucarestia) di una istituzione di sacramenti (dov’è per es. nei Vangeli l’Estrema Unzione?). Scoprirà in ultima analisi, studiando scientificamente, che quello che egli credeva rivelazione del mistero non è che l’eterno e universale paganesimo naturalistico. Finirà così per rigettare come irreligiose tali idee e si accorgerà con piacere che anche il suo amico Musulmano avrà fatto lo stesso per altre simili idee che potevano avergli insegnato nella sua religione tradizionale. C’è ora il grave pericolo per ambedue (o tre o più) di non resistere allo shock e di cadere nell’ateismo. Ma ecco che questo dovrebbe non avvenire se si opera un 2° Sacrificio: Meditando ancora, il nostro Cristiano scoprirà che passare in blocco alla «scienza» non gli risolverà impellenti problemi morali. Perché, per esempio, uno scienziato ateo come Bertrand Russel riteneva doversi impegnare contro la guerra del Vietnam, o contro il nazismo, mentre la sua morale sembra ridursi alla frase «siate felici e sarete buoni»? Questo secondo sacrificio consisterà nel riconoscere che c’è bisogno di una rivelazione di leggi etiche e sociali, che l’uomo da solo – come del resto dimostra la storia stessa posteriore alla presunta liberazione dell’uomo dalla morale eteronoma – non riesce a darsi una legge valida (il numero dei morti prodotti dall’uomo «con la morale autonoma» è infinitamente maggiore di quello di tutte le possibili inquisizioni e Santi Uffizi messi assieme...). Dunque necessità di una legge divina rivelata. Ma quale? 3° Sacrificio: Ciascuno dei credenti (o ex credenti, se volete) studiando la propria religione scoprirà che esiste in ciascuna di esse una escatologia, cioè un insieme di tradizioni, risalenti quasi sempre al fondatore stesso questa volta, sulla Fine del Mondo, su SAGGI SULLA FEDE BAHÁ’Í 204 eventi futuri connessi con una «seconda venuta» del Fondatore, tutto un insieme di nozioni che i sacerdoti ufficiali della sua religione hanno sempre messo in secondo piano come parti meno importanti della religione, dato che questa seconda venuta, almeno apparente, malgrado le insistenti profezie, non avveniva mai. Il mondo presente mostra per tutte le religioni i caratteri più evidenti di una fine del mondo; tanto che certi fondamentalisti periodicamente scoprono in questo o in quell’anno tale fine e si rifugiano sulle montagne o a Gerusalemme o altrove per aspettarlo (Vedi Miller fondatore del Movimento Avventista che la calcolò per il 1844, Lutero che fece simili calcoli, lo stesso Newton e così via). Non potrebbe allora essere ritornato Cristo o il Mahdí (Musulmani) e il Buddha Amitabha Maitreya (Buddhisti) o il fondatore mitico (religioni primitive)? Bisogna, per questa ricerca, compiere il duro sacrificio di superare i veli dovuti all’idea che il Fondatore si ripresenti nelle stesse forme tradizionali come lo si conosceva dai vari catechismi. Bisogna cioè pensare alla sconvolgente possibilità che Egli si mostri come il Re nascosto delle Mille e una notte (dice il poeta persiano: dídih-í báyad kih báshad sháhshinás tá shinásad sháh-rá dar har libás, cioè: «solo un occhio conoscitore del Re può riconoscerlo in ogni veste in cui si presenti»...) e del resto, se deve essere una manifestazione valida per tutti, non sarà certo identica a quella che i singoli seguaci si attendono. Tale ricerca comune porterà a Bahá’u’lláh. E il sacrificio consisterà ancora nell’abbandono dell’antico nome per accettare il nuovo nome (v. Apocalisse III, 12). Infatti, se religione è legge, se la nuova rivelazione è rivelazione di una legge valida per tutta l’umanità, l’impostazione di questo nuovo tipo di ecumenismo sarà proprio: accettazione comune di una nuova legge concreta universale per concorrere tutti alla pari alla ricostruzione del nuovo mondo, della nuova Gerusalemme! Diventare Bahá’í quindi è cosa ben diversa da quella di chi, Cristiano, diventa Musulmano, o Musulmano diventa CriINSEGNAMENTI BAHÁ’Í 205 stiano, o peggio ancora di chi, Cristiano o Musulmano, rimane tale perché trova che le loro superstizioni (il paganesimo naturalis) sono, in fondo, le stesse! 4. Ma torniamo ancora, dopo questa lunga digressione, alla scienza. Perché la scienza impostata in modo moderno è pericolosa per il paganesimo naturale? La risposta mi sembra evidente. Perché la scienza non riconosce (nel campo conoscitivo, si badi, non in quello etico) altra autorità che la razionalità e l’esperienza. Diceva ‘Abdu’l-Bahá: «Pesate tutto quel che vi si presenta come religione con la bilancia della scienza. Se resiste alla prova potete accettarlo. Altrimenti rigettatelo come superstizione ».12 Per intenderci con un esempio bassamente pratico: uno studio scientifico della realtà è impossibile dove possano esistere «alberi sacri» o «vacche sacre». Ma uno studio scientifico della realtà è più possibile dove nel mondo non esiste nulla di sacro, perché tutto il sacro è concentrato fuori del mondo. In questo senso il monoteismo, che compie appunto questa desacralizzazione del mondo, ha contribuito potentemente agli inizi della scienza moderna. Non è un caso, forse, se i più grandi scienziati del medioevo appartennero alla cultura più radicalmente monoteista, l’islam, e se, sia nel medioevo che dopo, alcuni fra i più grandi scienziati appartennero a quella antica cultura che fu la matrice di ogni monoteismo, l’Ebraismo. E nemmeno è un caso che molti degli scienziati moderni dovettero lottare contro quella cultura monoteistica che più delle altre fu influenzata dal paganesimo eterno e dalla religio naturalis, il Cristianesimo, estremamente metafisicizzato dalla tradizione medievale. Ricordo la bellissima frase di un antico teologo musulmano, al-Báqillání (sec. X): «I cieli sono creati da Dio come tutto il resto: è assurdo quindi pensare che siano fatti di una sostanza –––––––– 12 ‘Abdu’l-Bahá, La Saggezza di ‘Abdu’l-Bahá, p. 178. SAGGI SULLA FEDE BAHÁ’Í 206 diversa». O quella del grande scienziato suo contemporaneo al- Bírúní (sec. X-XI): «È assurdo pensare che il Corano debba insegnarci come è fatto o cosa sia il giorno: questo equivarrebbe a dire che il Corano ci dice delle cose che poi potrebbero anche esser dimostrate dall’evidenza come false». Dunque il Corano non può parlare di fatti scientifici di cui si può sperimentare la falsità o provare la verità, bensì solo di legge. C’è una frase simile nell’occidente cristiano, ma è di Galileo Galilei, ben sei secoli dopo Bírúní. Eccola (è la famosa frase della lettera a Benedetto Castelli del 21 dicembre 1613): «crederei che fosse prudentemente fatto se, si permettesse ad alcuno l’impegnar i luoghi della Scrittura e obbligarlo in certo modo: dover sostenere per vere alcune conclusioni naturali, delle quali una volta il senso e le ragioni dimostrative e necessarie ci potesser manifestare il contrario». Ci si potrebbe ancora domandare: Perché la scienza moderna post-galileiana si è sviluppata sotto il segno dell’ateismo? La risposta, forse scocciante per alcuni, è questa: Era fatale che così fosse (ed è forse un bene), perché il teo di questo ateismo non è il Dio della Bibbia e del Corano, né il Dio etico e santificatore di Cristo, bensì è il dio di Aristotele, il dio di una religio pagana naturalis sia pur raffinata, confuso per secoli dai Cristiani col Dio legislatore non misterico degli autentici testi sacri del monoteismo. Il vero Dio è il Dio in cui credevano Newton (cristiano anti-trinitario, si noti) e Einstein (ebreo liberale) ed è quello in cui credevano al-Bírúní, Galileo e al-Báqillání. La singolare deformazione del concetto di Dio portata dal Cristianesimo paolino-teologico (che persino alte personalità intellettuali, anche atee, del mondo occidentale confondono con Dio) ha portato a quella teoria teologica alla moda che si chiama «della morte di Dio». Secondo questa teoria il solo Dio che conosce il Cristiano è Cristo. Un Dio «astratto» sarebbe ormai anticaglia: l’unica cosa che resta valida del Cristianesimo è la suINSEGNAMENTI BAHÁ’Í 207 blime figura di Cristo ecc. È una teoria che sta prendendo piede, in forme moderate, sia pure, attraverso la corrente barthiana nel protestantesimo; e ora anche da noi, dove tutte le mode arrivano con un certo ritardo, è rappresentata da libri come quello recente e fortunato di V. Messori su Gesù.13 Si tratta di una modernizzazione propria della religio naturalis dell’uomo-dio, la meno scientifica delle religioni e anche la meno ecumenica perché quell’uomo Dio ha un nome storico e può averne solo uno. I Bahá’í sono fra le poche forze spirituali del mondo moderno a non credere nella morte di Dio, e che lottano per raddrizzare il concetto di Dio stravolto da una parte dal cristianesimo teologico, dall’altra diffamato anche da certi monoteisti di legge incartapecoriti. Non è un caso che, come dicevo nel mio articolo su «La lotta di Giacobbe con l’Angelo»,14 Dio permetta la diffusione e l’affermazione di teorie scientifiche sempre più atee apparentemente proprio per correggere nell’uomo l’idea che l’uomo si è fatta di lui, così antropomorfica, per convincerlo che – per usare le antiche parole di Maulaná Jalálu’d-Dín Rúmí – «Dio vive nel nulla, ha la sua officina nel Nulla»,15 cioè, umanamente parlando, nella trascendenza. È per questo che io diffido delle teorie scientifiche che «porterebbero» a Dio, alla spiritualità ecc. Nessuna teoria scientifica porta a Dio. E temo, che portino, queste teorie, a un dio sbagliato, al dio del paganesimo eterno, non al Dio d’Abramo, d’Isacco e Giacobbe, al Dio legislatore e sovrano etico dell’universo. Ed ecco perché io trovo molto sciocco ed urtante chi rimprovera i religiosi di irrazionalismo. È singolare che talora questo rimprovero di irrazionalismo parta proprio da coloro che non sanno dominare le proprie –––––––– 13 Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù (S.E.I., Torino, 1977) [n.d.e.]. 14 Pubblicato anche in questa raccolta a pp. 30-45 [n.d.e.]. 15 Rúmí, Mathnaví, vol. V, v. 1960 [n.d.e.]. SAGGI SULLA FEDE BAHÁ’Í 208 emozioni più elementari (a cominciare da quelle sessuali), che sostituiscono Dio con persone umane (siano esse Mao o Hitler o Stalin o chi si vuole). Il mondo moderno si vanta del proprio razionalismo, che gli impedirebbe di farsi affascinare da miraggi. Ma si tratta proprio di razionalismo? Abbiamo visto quanto facilmente miraggi di tipo umano, troppo umano, sappiano affascinare il mondo moderno così pretenziosamente razionale. Non dimentichiamo l’acuto verso di ‘Urfí, poeta persiano del XVI sec.: zih naqs-i tishnih labí dán, bi ‘aql-i khísh ma-náz dil-at faríb gar az jilvihíy-i sar-áb na-khurad! «Se la tua mente non si lascia ingannare dal Miraggio, non ti vantare per questo della tua razionalità: ciò dipende piuttosto dal fatto che non ha abbastanza sete!». E permettetemi di terminare queste considerazioni proponendovi un pensiero sulla scienza e la religione di ‘Abdu’l-Bahá. «Se la religione fosse contraria alla logica della ragione, allora cesserebbe d’essere una religione rimanendo una mera tradizione. La Religione e la Scienza sono due ali con le quali l’intelligenza dell’uomo può librarsi alle altezze fino alle quali l’anima umana può progredire. Non è possibile volare con un’ala sola! Se l’uomo dovesse tentare il volo con la sola ala della religione egli cadrebbe repentinamente nel pantano della superstizione, mentre d’altro canto se tentasse solo con l’ala della scienza non compirebbe alcun progresso e cadrebbe nella sconsolante melma del materialismo. Tutte le religioni oggi esistenti sono cadute in pratiche superstiziose, e in una disarmonia fra i principi degli insegnamenti che rappresentano le scoperte scientifiche dei tempi. «Molti capi religiosi sono giunti alla concezione che l’importanza della religione trovasi principalmente nell’adesione ad una INSEGNAMENTI BAHÁ’Í 209 raccolta di dogmi e nel praticare riti e cerimonie! Coloro le cui anime essi professano di curare, ricevono i medesimi insegnamenti e si aggrappano tenacemente a delle forme esteriori, confondendole con la Verità. «Ora, queste forme e questi riti differiscono nelle varie chiese e fra le varie sètte, e talvolta sono in contraddizione gli uni con gli altri, dando adito a discordie, odi e conflitti. Il risultato di tutti questi dissensi è la credenza da parte di molti uomini colti che Religione e Scienza sono due termini contradditori, che la religione non abbisogna del potere della riflessione, che non deve essere regolata in alcun modo dalla scienza, ma che anzi v’è la necessità che si oppongano l’una all’altra. L’effetto lamentevole è che la scienza si è allontanata dalla religione e che la religione è divenuta la cieca e meschina seguace dei precetti di alcuni teologi che insistono che i loro dogmi favoriti siano accettati, anche se contrari alla scienza. Questa è stoltezza perché è evidente che la scienza è Luce e che la vera religione non può opporsi al sapere».16. –––––––– 16 ‘Abdu’l-Bahá, La Saggezza di ‘Abdu’l-Bahá, pp. 176-8