Una delle regole di Chomsky* viene abbondantemente trattata in diversi testi di Zygmunt Bauman, è quella di addossare la colpa della povertà al povero stesso. Nella società dei consumatori cittadini di diritto sono solo coloro che possono permettersi di comprare, chi non può farlo è uno scarto della società, non contribuisce al mercato, ma lungi dall'essere compreso, tutelato, aiutato, viene percepito come peso per la società, e a lui si addossa l'intera colpa per sue inadeguatezze tutte personali delle quali lo stesso diretto interessato si convince. Autocolpevolizzandosi. Chomsky vede in questa autocolpevolizazione la mancata reazione allo stato di cose, nessun tentativo di cambiare, ma tutto si mantiene com'è, la rivoluzione non è pensabile. Spesso in situazioni di crisi quando non si intravedono o non si vogliono intravedere le soluzioni si individua nella fascia più debole il capro espiatorio per spostare l'attenzione, intere campagne politiche poggiano su queste basi, raccolgono facili consensi, pensiamo a una delle ultime uscite di un politico leghista che considera l'Abruzzo ormai un peso morto.
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*La norma numero nove è quella del “senso di colpa”, e quindi: «Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto-svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è ribaltamento né rivoluzione, non c’è nessuna possibilità di cambiamento in senso democratico»