https://youtu.be/hVrHO0VJmCo
Considerate un individuo che ha ammassato tesori colonizzando un
paese a proprio vantaggio; egli ha ammassato grandi ricchezze e si è
assicurato profitti e introiti che fluiscono come un fiume, mentre
centomila sventurati, deboli e impotenti, hanno bisogno di un boccone
di pane. Non esiste uguaglianza né fraternità.
Così la pace e la gioia vengono distrutte, il benessere
dell'umanità è parzialmente annientato, e la vita collettiva non dà
frutto. Infatti, ricchezze, onori, commercio, industria, restano
nelle mani di alcuni industriali, mentre altre persone vengono
sottoposte a una lunga serie di difficoltà e pene senza fine, non
traggono né vantaggi, né profitti, non possiedono agi né pace.
Norme e leggi dovrebbero venir stabilite per regolare le eccessive
ricchezze di alcuni privati e limi- tare la miseria di milioni di
poveri che formano la massa; si otterrebbe così un moderato
equilibrio.
Comunque, l'uguaglianza assoluta è impossibile, perché
l'uguaglianza assoluta nelle ricchezze, negli onori, nel commercio,
nell'agricoltura e nell'industria porterebbe a una mancanza di agi,
allo scoraggiamento, alla disorganizzazione dei mezzi di esistenza,
sarebbe contraria al benessere generale e l'ordine della comunità
andrebbe completamente distrutto. Così vi è una grande saggezza nel
fatto che l'uguaglianza non sia imposta per legge; è perciò
preferibile che lo spirito di moderazione compia il suo lavoro.
Il punto principale sta
nell'impedire, per mezzo di leggi e di regolamenti, la formazione di
eccessive ricchezze dei singoli, e nel tutelare i bisogni essenziali
delle masse. Ad esempio, produttori e industriali accumulano
ricchezze ogni giorno, mentre poveri artigiani non guadagnano nemmeno
il pane quotidiano; questo è il colmo dell'iniquità, e nessuna
persona di animo giusto può ammetterlo. Perciò, leggi e regolamenti
dovrebbero stabilire quanto permetterebbe agli operai di ricevere dal
proprietario della fabbrica sia adeguati salari sia una parte
degli utili, nella misura di un quarto o un quinto, secondo le
necessità della impresa; oppure, in qualche altro modo, operai e
dirigenti dovrebbero ripartire ugualmente gli utili e i vantaggi.
In realtà, la direzione e l'amministrazione competono al
proprietario, il lavoro e l'opera agli operai. I lavoratori
dovrebbero ricevere salari che assicurino il loro sostentamento e
quando cessano di lavorare, e sono divenuti deboli e incapaci,
dovrebbero ricevere pensioni adeguate. I salari dovrebbero essere
tali da soddisfare i lavoratori, cosicché essi siano in grado di
risparmiare parte dei guadagni per i periodi di necessità e per
quando sarà loro impossibile lavorare.
Quando le cose fossero così organizzate, gli imprenditori non
metterebbero più da parte, ogni giorno, ricchezze di cui non hanno
assolutamente bisogno, Dal canto loro lavoratori e artigiani non si
troverebbero più in miseria, e non sarebbero costretti alle peggiori
privazioni al termine della loro vita. È quindi evidente che la
ripartizione di ricchezze eccessive fra un piccolo numero di
individui, mentre le masse sono in miseria, è una ingiustizia. Allo
stesso modo, l'uguaglianza assoluta sarebbe un ostacolo alla vita, al
benessere, all'ordine e alla pace dell'umanità. È senz'altro
preferibile una giusta via di mezzo.
Essa può trovarsi nella moderazione, da parte dei capitalisti,
nell'acquisire profitti, e nella loro considerazione per il benessere
dei poveri e di coloro che si trovano in necessità; lavoratori e
artigiani debbono ricevere un salario giornaliero fisso e partecipare
agli utili generali dell'impresa. Sarebbe bello, riguardo ai diritti
sociali dei produttori, lavoratori e artigiani, che fossero emanate
leggi che permettessero moderati profitti ai datori di lavoro e
consentissero ai lavoratori i mezzi necessari all'esistenza e alla
sicurezza dell'avvenire.
Così, quando gli operai diventano deboli e inadatti al lavoro, o
vecchi e senza forza, o muoiono lasciando bambini in tenera età, gli
orfani e i familiari non avrebbero a soffrire. Ed è dall'utile
dell'impresa stessa – utile al quale essi hanno diritto – che i
lavoratori e le loro famiglie trarrebbero parte dei mezzi di vita.
Sebbene possano assumere l'apparenza di vertenze fra privati, i
conflitti sociali producono un danno generale; perché il commercio,
l'industria, l'agricoltura, sono tutti strettamente collegati. Se si
verifica un abuso in uno dei vari settori, il danno colpisce la
massa. Così le difficoltà fra lavoratori e datori di lavoro
diventano causa di danno generale.
(Abdu'l-bahà, Le lezioni
di S.Giovanni d'Acri)
Considerate un individuo che ha ammassato tesori colonizzando un
paese a proprio vantaggio; egli ha ammassato grandi ricchezze e si è
assicurato profitti e introiti che fluiscono come un fiume, mentre
centomila sventurati, deboli e impotenti, hanno bisogno di un boccone
di pane. Non esiste uguaglianza né fraternità.
Così la pace e la gioia vengono distrutte, il benessere
dell'umanità è parzialmente annientato, e la vita collettiva non dà
frutto. Infatti, ricchezze, onori, commercio, industria, restano
nelle mani di alcuni industriali, mentre altre persone vengono
sottoposte a una lunga serie di difficoltà e pene senza fine, non
traggono né vantaggi, né profitti, non possiedono agi né pace.
Norme e leggi dovrebbero venir stabilite per regolare le eccessive
ricchezze di alcuni privati e limi- tare la miseria di milioni di
poveri che formano la massa; si otterrebbe così un moderato
equilibrio.
Comunque, l'uguaglianza assoluta è impossibile, perché
l'uguaglianza assoluta nelle ricchezze, negli onori, nel commercio,
nell'agricoltura e nell'industria porterebbe a una mancanza di agi,
allo scoraggiamento, alla disorganizzazione dei mezzi di esistenza,
sarebbe contraria al benessere generale e l'ordine della comunità
andrebbe completamente distrutto. Così vi è una grande saggezza nel
fatto che l'uguaglianza non sia imposta per legge; è perciò
preferibile che lo spirito di moderazione compia il suo lavoro.
Il punto principale sta
nell'impedire, per mezzo di leggi e di regolamenti, la formazione di
eccessive ricchezze dei singoli, e nel tutelare i bisogni essenziali
delle masse. Ad esempio, produttori e industriali accumulano
ricchezze ogni giorno, mentre poveri artigiani non guadagnano nemmeno
il pane quotidiano; questo è il colmo dell'iniquità, e nessuna
persona di animo giusto può ammetterlo. Perciò, leggi e regolamenti
dovrebbero stabilire quanto permetterebbe agli operai di ricevere dal
proprietario della fabbrica sia adeguati salari sia una parte
degli utili, nella misura di un quarto o un quinto, secondo le
necessità della impresa; oppure, in qualche altro modo, operai e
dirigenti dovrebbero ripartire ugualmente gli utili e i vantaggi.
In realtà, la direzione e l'amministrazione competono al
proprietario, il lavoro e l'opera agli operai. I lavoratori
dovrebbero ricevere salari che assicurino il loro sostentamento e
quando cessano di lavorare, e sono divenuti deboli e incapaci,
dovrebbero ricevere pensioni adeguate. I salari dovrebbero essere
tali da soddisfare i lavoratori, cosicché essi siano in grado di
risparmiare parte dei guadagni per i periodi di necessità e per
quando sarà loro impossibile lavorare.
Quando le cose fossero così organizzate, gli imprenditori non
metterebbero più da parte, ogni giorno, ricchezze di cui non hanno
assolutamente bisogno, Dal canto loro lavoratori e artigiani non si
troverebbero più in miseria, e non sarebbero costretti alle peggiori
privazioni al termine della loro vita. È quindi evidente che la
ripartizione di ricchezze eccessive fra un piccolo numero di
individui, mentre le masse sono in miseria, è una ingiustizia. Allo
stesso modo, l'uguaglianza assoluta sarebbe un ostacolo alla vita, al
benessere, all'ordine e alla pace dell'umanità. È senz'altro
preferibile una giusta via di mezzo.
Essa può trovarsi nella moderazione, da parte dei capitalisti,
nell'acquisire profitti, e nella loro considerazione per il benessere
dei poveri e di coloro che si trovano in necessità; lavoratori e
artigiani debbono ricevere un salario giornaliero fisso e partecipare
agli utili generali dell'impresa. Sarebbe bello, riguardo ai diritti
sociali dei produttori, lavoratori e artigiani, che fossero emanate
leggi che permettessero moderati profitti ai datori di lavoro e
consentissero ai lavoratori i mezzi necessari all'esistenza e alla
sicurezza dell'avvenire.
Così, quando gli operai diventano deboli e inadatti al lavoro, o
vecchi e senza forza, o muoiono lasciando bambini in tenera età, gli
orfani e i familiari non avrebbero a soffrire. Ed è dall'utile
dell'impresa stessa – utile al quale essi hanno diritto – che i
lavoratori e le loro famiglie trarrebbero parte dei mezzi di vita.
Sebbene possano assumere l'apparenza di vertenze fra privati, i
conflitti sociali producono un danno generale; perché il commercio,
l'industria, l'agricoltura, sono tutti strettamente collegati. Se si
verifica un abuso in uno dei vari settori, il danno colpisce la
massa. Così le difficoltà fra lavoratori e datori di lavoro
diventano causa di danno generale.
(Abdu'l-bahà, Le lezioni
di S.Giovanni d'Acri)