Perchè l'aria che respiriamo e pertanto ci fa vivere è solo nel nostro pianeta ?
e mi ha riportato alla mente la distinzione tra principio antropico forte e debole spiegato molto bene qui
http://www.sitosophia.org/2008/02/lanima-e-il-suo-destino-di-vito-mancuso/
ne copio una parte
La domanda delle cento pistole è: Perché mai a un certo punto della storia dell’universo è uscita la pallina rossa della vita? Dovendo scegliere fra tre spiegazioni possibili (le uniche che egli riesca a vedere, e già qui si colgono dei limiti enormi nella sua millantata conoscenza delle teorie scientifico-filosofiche in campo), cioè fra il “caso”, il “miracolo” e la “necessità intrinseca”, egli dichiara di abbracciare la terza: «se è uscita l’unica pallina rossa della vita, è perché doveva uscire proprio lei. Dagli informi gas primordiali doveva scaturire la vita. Io sostengo che vi è una finalità intrinseca nella natura, esattamente quella medesima teleologia di cui parlava Aristotele, che so bene essere un supremo tabù per molti biologi contemporanei» (pp. 116-117). Questo passo così candidamente pretenzioso mi ha fatto venire subito in mente un paio di pagine de L’idea pericolosa di Darwin (§ 7.3, tr. it. Bollati Boringhieri 2002, pp. 208-209) in cui Dennett smaschera implacabilmente l’imbarazzante errore puramente logico contenuto in questo tipo di inferenza, classicamente adottata dai sostenitori della versione “forte” del cosiddetto “principio antropico”. L’argomento del tipo di quello adottato da Mancuso non è un tabù, come egli sostiene allegramente, ma una banale fallacia logica che può essere illustrata in maniera semplicissima. Come nota Dennett, nella sua forma “debole” e innocua il principio antropico si basa su una normale applicazione della regola del modus ponens: «se x è una condizione necessaria per l’esistenza di y e y esiste, allora x esiste». In simboli, si tratta del teorema: (((y → x) & y) → x), in cui il “Dev’essere vero che” sta rigorosamente all’inizio della formula. Essa, infatti, non dice che x o y o entrambi sono necessari, ma che è necessario che se y → x e si dà anche y, allora si “deve” dare anche x, dove x e y, nel caso delle scienze empiriche, sono eventi (o descrizioni di eventi) contingenti. La necessità, qui, consiste solo nel fatto che x deve darsi affinché si dia y; il che non significa affatto, come invece pensano erroneamente quelli che argomentano alla maniera di Mancuso, che x e y siano necessari in assoluto. Scrive Dennett: «Riconosco che mi è difficile credere che un tale equivoco e una tale controversia siano stati generati in realtà da un banale errore logico, ma si hanno prove concrete che spesso questo corrisponde al vero, e non soltanto nell’ambito delle discussioni sul principio antropico. Si considerino gli analoghi equivoci che circondano la deduzione darwiniana in generale. Darwin deduce che gli esseri umani devono essersi evoluti da un antenato comune agli scimpanzé e che tutta la vita deve essere emersa da un unico principio, e alcuni, in modo inspiegabile, interpretano queste deduzioni come la tesi che gli esseri umani siano in qualche modo un prodotto necessario dell’evoluzione, o che la vita sia una caratteristica necessaria del nostro pianeta. (…) Quanti credono nel principio antropico (…) pensano di poter dedurre qualche cosa di meraviglioso e stupefacente dal fatto che noi osservatori coscienti siamo qui – per esempio, che in qualche senso l’universo esiste per noi, o forse che noi esistiamo affinché possa esistere l’universo nella sua totalità, o addirittura che Dio ha creato l’universo come l’ha creato affinché noi fossimo possibili».
L’argomento di Dennett, in sostanza, è questo. Che cosa significa, ad esempio, dire che il DNA è una condizione necessaria per l’esistenza degli organismi multicellulari come noi? Significa semplicemente che il DNA deve esserci affinché tali organismi siano possibili, i quali costituiscono così una condizione sufficiente per l’esistenza del DNA. In termini logici questo si traduce così: l’esistenza degli organismi multicellulari come noi implica l’esistenza del DNA (e non viceversa!), e siccome noi esistiamo, allora anche il DNA deve esistere. Ma questo non equivale a dire (come sostengono i finalisti alla Mancuso) né che l’esistenza del DNA sia necessaria in sé, cioè da sempre prevista dalla Natura, né che gli organismi multicellulari come noi siano un prodotto necessario, e addirittura da sempre ‘voluto’ dal Progettista divino, del DNA. Infatti, la molecola del DNA poteva tranquillamente non formarsi e inoltre non c’è contraddizione nel pensare a un mondo dove ci sia il DNA e non ci siamo noi (del resto è stato così per alcuni miliardi di anni). Viceversa, non abbiamo alcuna possibilità di concepire un mondo in cui ci siamo noi ma non c’è il DNA. L’inferenza alla Mancuso, quindi, è un puro e semplice errore logico che nasce da un fraintendimento del condizionale e del modus ponens.
È vero, aggiungo, che il teorema precedente implica la versione modale della regola del modus ponens: ((y → x) & y) → x, che apparentemente sostiene un’inferenza come quella di Mancuso. Ma qui x e y diventano enunciati dimostrabili, ovvero descrizioni di ‘fatti’ logico-matematici necessari che nulla hanno a che vedere con i fatti tutti contingenti del mondo in cui viviamo, come la combinazione antropica delle costanti fisiche fondamentali, la formazione degli elementi chimici pesanti e delle molecole inorganiche, la sintesi delle proteine, la comparsa degli organismi multicellulari e la nascita dell’Homo sapiens. Chi ha voglia di sostenere il contrario, cioè che nel mondo possono darsi fatti logicamente e ontologicamente necessari, si autoinfligge un onere della prova filosoficamente insostenibile e scientificamente disperato. Questa cosa ovvia Mancuso avrebbe potuto acquisirla adeguatamente se solo avesse meditato almeno sulla proposizione 5.634 del Tractatus di Wittgenstein, anziché fermarsi a un innocuo aforisma sulla morte di sapore epicureo – «Il timore della morte è il miglior segno di una vita falsa, cioè cattiva» – contenuto nei Quaderni 1914-1916 (cfr. p. 196).
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