Che cosa ci accadrebbe, se facessimo a meno di credere in qualcosa? Avremmo una paura tremenda di quello che potrebbe succedere, vi pare? Ci sentiremmo perduti se dovessimo rinunciare ad uno schema d’azione basato sulla fede, che sia la fede in Dio, la fede nel comunismo, nel socialismo, nell’imperialismo, in una formula religiosa o in un dogma che ci condiziona. Ma allora la fede che abbiamo accettato non serve forse a nascondere quella paura, la paura di non essere assolutamente nulla, di essere completamente vuoti? In fondo, una tazza è utile solo quando è vuota; e una mente piena di riti, di dogmi, di pretese, di citazioni, non può essere creativa; può solo continuare a ripetere qualcosa. Quella paura è la paura del vuoto, della solitudine, del ristagno, dell’insuccesso, del fallimento, del non essere o del non diventare quello che vorremmo. E proprio per sottrarci a questa paura accettiamo totalmente di credere intensamente in qualcosa. Ma in queste condizioni possiamo capire noi stessi? Evidentemente, no. Una fede qualsiasi, religiosa o politica, ci impedisce di capire noi stessi. Diventa lo schermo
attraverso il quale guardiamo. E che cosa succede se guardiamo noi stessi togliendo di mezzo questo schermo? Se facciamo a meno delle tante fedi che abbiamo, rimane qualcosa da guardare? La mente si identifica con quello in cui crede; allora, quando smette di identificarsi, perché non ha nulla in cui credere, può guardare se stessa per quello che è. E questo, sicuramente, e l’inizio della comprensione di sé. (Krishnamurti)
attraverso il quale guardiamo. E che cosa succede se guardiamo noi stessi togliendo di mezzo questo schermo? Se facciamo a meno delle tante fedi che abbiamo, rimane qualcosa da guardare? La mente si identifica con quello in cui crede; allora, quando smette di identificarsi, perché non ha nulla in cui credere, può guardare se stessa per quello che è. E questo, sicuramente, e l’inizio della comprensione di sé. (Krishnamurti)